Gli incentivi già presenti e continuativi per i prossimi anni per le imprese rappresentano un’occasione di rilancio tanto per le aziende quanto per l’intero sistema Paese al termine di mesi difficili segnati, inevitabilmente, dallo shock della pandemia di coronavirus.
Dai fondi per le imprese in difficoltà all’Ecobonus, i governi che si sono succeduti in questi mesi hanno cercato di mettere in campo misure di sostegno, ma fra tutte queste il Piano Transizione 4.0 è probabilmente quella più importante. Si tratta infatti di un pacchetto di agevolazioni per il presente ma con uno sguardo ben saldo a quello che deve essere il futuro del Paese.
Incentivi per accompagnare le PMI italiane a iniziare (o completare) quel percorso di digital transformation in ottica 4.0 necessario per affrontare le sfide presenti e futuri del proprio mercato, qualunque esso sia. La quarta rivoluzione industriale è già iniziata e i nuovi incentivi 2021 sono lo strumento ideale per affrontarla da protagonisti.
In più, in questo periodo, il Consiglio dei Ministri sta passando alla fase attuativa del piano Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con il quale – attraverso la Missione “Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo” – prolungherà le attuali misure a favore delle aziende tra cui il Piano Transizione 4.0 e il potenziamento del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI.
In più, in questo periodo, il Consiglio dei Ministri sta passando alla fase attuativa del piano Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con il quale – attraverso la Missione “Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo” – prolungherà le attuali misure a favore delle aziende tra cui il Piano Transizione 4.0 e il potenziamento del Fondo Centrale di Garanzia per le PMI.
Sono 6 le missioni principali del PNRR e si va dalla transizione ecologica alla digitalizzazione del servizio sanitario nazionale. In mezzo un pacchetto corposo di fondi per le imprese e, nello specifico, proprio per la digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo.
45,5 miliardi di euro complessivi di cui quasi 19 destinati alla Transizione 4.0 attraverso il credito d’imposta per:
Più avanti entreremo nel dettaglio della ripartizione dei fondi europei, prima però vediamo come si è passati dal super ammortamento a queste nuove agevolazioni fiscali per le aziende.
In principio era il super ammortamento, ma oggi le agevolazioni fiscali per imprese nel 2021 sono nel segno del credito d’imposta.
Nelle scorse edizioni del Piano, il super ammortamento è stato senza dubbio l’incentivo fiscale più utilizzato dalle aziende per finanziare l’acquisto, anche in leasing, di beni strumentali. Nel 2019 questa misura prevedeva il super ammortamento del 130% su tutti i beni materiali e immateriali. In più, per la prima volta rispetto alle passate edizioni del Piano, è stato introdotto un tetto massimo agli investimenti pari a 2,5 milioni di euro.
Ma lo scorso anno il super ammortamento è stato sostituito dal Credito d’Imposta Beni immateriali per investimenti in servizi e software digitali.
Il credito d’imposta è senza dubbio il “motore” delle agevolazioni fiscali per imprese nel 2021 e ha rimpiazzato il super ammortamento prevedendo una agevolazione sotto forma di credito d’imposta per beni strumentali materiali e immateriali compresi negli allegati A e B della Legge n.232 dell’11 dicembre 2016.
Il Piano Transizione 4.0 oggi più che mai è una grande opportunità per le imprese italiane non solo per stimolare gli investimenti ma anche per colmare il gap con i principali competitors internazionali e porre solide basi per il futuro.
Le nuove agevolazioni per le imprese puntano infatti su innovazione, ricerca, sviluppo e formazione. E lo fanno attraverso misure concrete e di facile accesso che consentono alle aziende di accedere ad una serie di hardware e software in grado di semplificare i processi produttivi, migliorando efficienza e performance nel segno dell’IoT e di tutti quei sistemi che sono in grado di potenziare il lavoro meccanico, elettromeccanico fornendo al tempo stesso dati e informazioni in grado di velocizzare e migliorare i processi decisionali.
Un percorso iniziato nel 2017 con il primo Piano Industria 4.0 e che è proseguito nel segno della continuità con Impresa 4.0 e oggi con il Piano Transizione 4.0.
Oggi si parla spesso di transizione, specie in materia di energetica. Ma altrettanto importante è la Transizione 4.0, vale a dire quel processo di ammodernamento delle imprese italiane che prevede l’implementazione di tecnologie abilitanti come IoT, sensori, cloud, realtà aumentata, cyber security, Big Data Analytics e robot collaborativi.
Dopo Industria 4.0 e Impresa 4.0, Transizione 4.0 è una misura che, con aliquote differenti, intende agevolare l’acquisto e l’implementazione di queste nuove tecnologie attraverso beni materiali e immateriali. Rispetto ai suoi predecessori che puntavano su agevolazioni come iper ammortamento e super ammortamento, Transizione 4.0 prevede un credito d’imposta per i beni strumentali materiali, per i beni immateriali (tra cui anche i software), per le attività di ricerca, sviluppo, innovazione e design e, infine, per la formazione.
Il Piano Transizione 4.0 approvato per la prima volta con il documento di bilancio 2020 (legge n. 160 del 27 dicembre 2019) è l’impianto che definisce la nuova politica industriale italiana cercando di promuovere una maggiore attenzione a:
Questa disciplina fissa la classificazione delle attività di innovazione tecnologica ammissibili al credito d’imposta e alle forme di accesso alle agevolazioni previste nonché le regole di determinazione e documentazione delle spese ammissibili.
Nel Decreto Transizione 4.0 del Ministero dello Sviluppo Economico che ha approvato il piano si legge chiaramente qual è il suo scopo:
“… al fine di sostenere più efficacemente il processo di transizione digitale delle imprese, la spesa privata in ricerca e sviluppo e in innovazione tecnologica, anche nell’ambito dell’economia circolare e della sostenibilità ambientale, e l’accrescimento delle competenze nelle materie connesse alle tecnologie abilitanti il processo di transizione tecnologica e digitale, nonché di razionalizzare e stabilizzare il quadro agevolativo di riferimento in un orizzonte temporale pluriennale, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica prevede la ridefinizione della disciplina degli incentivi fiscali collegati al “Piano nazionale Impresa 4.0”.
Come abbiamo visto in precedenza, esiste un legame stretto che unisce Piano Transizione 4.0 e PNRR, vale a dire il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza varato dal Governo nell’aprile scorso per far fronte alla crisi che si abbattuta anche sul nostro Paese a seguito della pandemia di Covid-19.
Nello specifico il PNRR si inserisce nel pacchetto Next Generation EU (NGEU), che prevede aiuti comunitari per 750 miliardi di euro agli Stati membri dell’Unione Europea. Il PNRR fa quindi parte di una strategia più ampia ma che diventa funzionale al progetto di ammodernamento e sviluppo anche delle imprese già avviato dal governo italiano negli anni scorsi con i piani Industria 4.0 e Impresa 4.0.
Il PNRR prevede investimenti complessivi pari a 222,1 miliardi e le risorse comunitarie per finanziare il Piano Transizione 4.0 ammontano a 18,8 miliardi: 13,38 miliardi previsti a carico della Recovery & Resilience Facility di qui al 2026 a cui si aggiungono oltre 5 miliardi stanziati del fondo complementare con la legge di Bilancio 2021.
Dopo i dubbi dei mesi scorsi sull’inclusione (e in che misura) della Transizione 4.0 nel PNRR ora è ufficiale che, tramite NGEU, arriveranno 18,8 miliardi. Fondi cospicui che serviranno per favorire la transizione digitale e l’innovazione del sistema produttivo incentivando gli investimenti in tecnologie avanzate, ricerca e innovazione. Ma anche per realizzare investimenti per le connessioni ultraveloci e, più in generale, per promuovere lo sviluppo e la competitività delle imprese italiane anche sui mercati internazionali.
Quella che si è aperta nell’autunno 2021 e che proseguirà fino al 2026 è dunque la fase di attuazione delle 6 missioni principali del PNRR nonché il periodo decisivo affinché le aziende (e tutto il sistema Paese) concretizzino quella svolta in termini di digitalizzazione, innovazione e competitività.
Una svolta possibile attraverso una serie di incentivi che hanno un denominatore comune: il credito di imposta.
Rispetto a iper ammortamento e super ammortamento, il credito di imposta 4.0 ha apportato vantaggi significativi estendendo l’agevolazione anche per le aziende che non hanno utile e ampliando la platea di potenziali beneficiari anche al “regime dei minimi”. In più, il credito è cumulabile con altre agevolazioni fiscali per imprese 2021.
Nello specifico, il credito d’imposta per il 2022 sui beni materiali segue queste aliquote:
Mentre per i beni immateriali il credito è del 20% del costo nel limite massimo di 1 milione di euro. Tra questi spiccano come agevolabili con credito di imposta 4.0 anche le spese per l’utilizzo di soluzioni di cloud computing, per la quota imputabile per competenza. Questo significa che oltre ai software con licenza sono agevolabili anche le soluzioni con logica SaaS.
Uno dei vantaggi principali di questo Piano, rispetto ad altre misure di sostegno e rilancio varate in passato, sta proprio nei requisiti per il credito di imposta 4.0.
L’accesso è consentito a tutte le imprese residenti nel territorio italiano indipendentemente dalla loro natura giuridica, dal settore economico di appartenenza, dalla dimensione, dal regime contabile e dal sistema di determinazione del reddito ai fini fiscali. Insomma, tutti o quasi. Compresi liberi professionisti e freelance aderenti al regime forfetario. A patto che rispettino le normative sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e siano in regola con il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali ai lavoratori.
Le uniche imprese che non hanno i requisiti per il credito di imposta 4.0 sono quelle in stato di liquidazione volontaria, fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo e le imprese sanzionate per reati amministrativi con le misure interdittive previste dal decreto legislativo n.231 dell’8 giugno 2001.
Il punto è che per usufruire del credito d’imposta 4.0 il nuovo bene strumentale deve essere acquistato e “connesso” ai sistemi aziendali entro il 31 Dicembre 2022, oppure entro il 30 giugno 2023. Tutto questo a patto che l’azienda versi un acconto minimo del 20% rispetto al costo totale del bene entro il 31 dicembre 2021 per “confermare” l’investimento anche se l’implementazione del bene in azienda avviene nei mesi successivi.
Per comprendere come richiedere il credito di imposta 4.0 bisogna prima di tutto definire la tipologia del bene.
Per quelli tecnologicamente avanzati e immateriali, le imprese devono produrre una perizia tecnica semplice (rilasciata da un ingegnere o da un perito industriale iscritti nei rispettivi albi professionali) piuttosto che un attestato di conformità rilasciato da un ente di certificazione accreditato, da cui risulti che i beni possiedono caratteristiche tecniche tali da includerli rispettivamente negli elenchi presenti negli Allegati A e B della legge e sono interconnessi al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura.
Per i beni di valore inferiore a 300 mila euro è invece sufficiente una autocertificazione del legale rappresentante dell’azienda.
Come abbiamo visto, la platea dei beni agevolabili 4.0 è davvero ampia e riguarda tanto i macchinari quanto i software e le piattaforme informatiche.
Il denominatore comune di tutti i beni strumentali agevolabili è l’aspetto tecnologico. Per essere considerato ammissibile, ogni bene strumentale acquistato (o noleggiato nel caso di software e piattaforme) deve essere tecnologicamente avanzato.
Per ottenere il credito di imposta per beni strumentali il requisito è quello di investire in macchinari funzionali alla trasformazione tecnologica il cui funzionamento è controllato da sistemi computerizzati o gestito tramite opportuni sensori e azionamenti in ottica 4.0.
L’allegato A esplicita quelli che sono i beni materiali tecnologicamente avanzati come macchine utensili per assemblaggio, per deformazione della plastica, per la saldatura, per la manifattura additiva…
La legge dice anche che tutte le macchine devono essere dotate di:
In più, devono poter essere assimilabili o integrabili a sistemi cyberfisici per telediagnosi, telemanutenzione, controllo in remoto o monitoraggio in continuo.
Per quanto concerne invece i beni immateriali di industria 4.0 agevolati, l’allegato B invece fissa l’elenco di quelli che rientrano nel credito di imposta.
Nello specifico, la legge fa riferimento a software, sistemi, piattaforme e applicazioni per:
Il credito d’imposta per la formazione 4.0 prevede agevolazioni per:
Ma in che misura? Il credito è pensato per agevolare le PMI, vera spina dorsale del tessuto imprenditoriale italiano, con queste aliquote:
Inoltre, il credito d’imposta per la formazione 4.0 aumenta fino al 60% nel caso di interventi di formazione per soggetti che rientrano nelle categorie dei lavoratori dipendenti svantaggiati o molto svantaggiati.
Sono 3 i macro ambiti di formazione che rientrano in questa misura e sono:
Un panorama piuttosto variegato che comprende tematiche come big data e analisi dei dati, cyber security, prototipazione rapida, robotica avanzata e collaborativa, manifattura additiva, integrazione digitale dei processi aziendali ecc.
Quello della formazione 4.0 è un incentivo che si riferisce alle spese relative ai costi del personale (costo del lavoro) impegnato in corsi di formazione sia che si tratti di docenti (o tutor) che partecipanti. Nello specifico, per i formatori è previsto un limite di spesa massimo del 30% della retribuzione complessiva annua spettante al dipendente.
Ma non è tutto perché tra i costi ammissibili al credito d’imposta ci sono anche quelli di consulenza connessi al progetto di formazione. Un’agevolazione introdotta già con la Legge di Bilancio 2018 e che ha riscosso il favore delle aziende. Accedervi adesso è ancora più semplice perché non è più necessario stipulare e depositare i contratti collettivi aziendali o territoriali presso l’Ispettorato territoriale del lavoro competente ai fini del riconoscimento del credito d’imposta ma è sufficiente una comunicazione al Ministero dello sviluppo economico.
Tuttavia, per essere certi dell’ammissibilità delle spese sostenute è importante verificare preventivamente l’analisi del contesto e degli stakeholders, la definizione di tutta la documentazione contabile e amministrativa necessaria nonché la piena aderenza del progetto di formazione ai vincoli di legge.
Insomma, è necessario un vero e proprio piano di gestione per progetto di formazione nonché una perizia finale che attesti la correttezza delle modalità organizzative e delle attività di formazione svolte.
Non si tratta solo di ridurre il gap tecnologico rispetto ad altre aziende europee ed internazionali, ma questi nuovi incentivi per le imprese hanno anche il compito di agevolare la riduzione del gap professionale tra donne e uomini nel mondo del lavoro. Un obiettivo concreto per il quale sono già stati stanziati 40 milioni di euro attraverso il Fondo impresa donna a cui si aggiungeranno altri 400 milioni destinati dal PNRR all’imprenditoria femminile nell’ambito delle attività di inclusione e coesione.
In questo caso non siamo di fronte a credito di imposta ma a contributi a fondo perduto per avviare nuove imprese e consolidare quelle già avviate.
Nello specifico, per l’avvio di nuove aziende che prevedono spese ammissibili non superiori a 100 mila euro le agevolazioni sono concesse fino alla copertura dell’80% delle spese ammissibili (con un contributo massimo pari a 50 mila euro). Invece, per le spese ammissibili da 100 mila euro e fino a 250 mila euro, le agevolazioni sono concesse fino alla copertura del 50% delle spese ammissibili.
Per quanto concerne il consolidamento di imprese già esistenti da un minimo di un anno a un massimo di tre anni (rispetto alla data di presentazione della domanda di accesso al fondo) le agevolazioni sono concesse per il 50% dell’ammontare sotto forma di contributo a fondo perduto e per il restante 50% sotto forma di finanziamento agevolato di 8 anni a tasso zero fino a coprire l 80% delle spese ammissibili entro il limite massimo di 400 mila euro.
Al Fondo Impresa Donna possono accedere:
Incentivi e finanziamenti che possono riguardare impianti e macchinari, beni immateriali, servizi cloud e perfino per l’assunzione di personale dipendente in tutti i principali settori merceologici, dall’industria all’artigianato, dalla trasformazione dei prodotti agricoli fino a servizi, commercio e turismo.